#Recensione – Habitat – Note personali
“Habitat” è il titolo emblematico di un documentario sulla vita dopo il terremoto del 6 Aprile 2009 a L’Aquila. Dal latino habitare, “Habitat” rimanda a tutto ciò che riguarda il risiedere in un determinato luogo, all’interno di una comunità più o meno grande (in questo caso il capoluogo abruzzese) con le sue tradizioni, le sue abitudini e i suoi punti di ritrovo che in una notte sono stati spazzati via.
Oltre a parlare della sua esperienza, Emiliano invita due compagni di tenda, Alessio e Paolo, a raccontare il post-terremoto dal loro punto di vista, intervistandoli con un approccio perlopiù interattivo, entrando in scena e commentando le loro risposte. Alessio è diventato un agente immobiliare; Paolo ha avuto una figlia e dipinge quadri.
C’è chi sogna un avvenimento piacevole che viene improvvisamente interrotto dal terremoto e chi invece non lo “sente” nel sogno ma prova ansia e paura che possa accadere di nuovo.
Il documentario si divide in due parti: la prima ripercorre la vita dei protagonisti a pochi mesi dal terremoto; nella seconda ci ritroviamo invece a tre anni dall’accaduto. Il regista li ricorda come “giorni eroici”, quelli subito dopo il 6 Aprile, passati nella tendopoli in cui si condivideva tutto e non ci si sentiva soli. Lo spostamento dalla tenda all’hotel, apparentemente più confortevole, in realtà è piuttosto traumatico, perché per la prima volta si fanno i conti con quello che sarà il futuro. Dall’hotel si passa quindi ai progetti C.A.S.E., le famose “case di Berlusconi”, che in un filmato di repertorio mostra il suo compiacimento nell’aver dato ai terremotati una sistemazione definitiva senza averli fatti passare per i container. Ma è una nuova vita che non sono pronti a vivere perché non hanno ancora superato il trauma, perché ancora bloccati in una sorta di limbo, ad attendere all’infinito un segno come i personaggi di Beckett. E le case di Berlusconi non aiutano, anzi accentuano il distacco dalle proprie abitazioni e di conseguenza dai ricordi di una vita.
Il filo conduttore che lega i protagonisti sono i loro sogni, o meglio gli incubi che li tormentano ancora dopo anni. C’è chi sogna un avvenimento piacevole che viene improvvisamente interrotto dal terremoto e chi invece non lo “sente” nel sogno ma prova ansia e paura che possa accadere di nuovo.
Il documentario è girato quasi interamente in bianco e nero, come fosse un film del passato, un passato però le cui conseguenze si ripresentano ogni giorno nelle vite di ognuno. E’ una scelta registica ben ponderata, poiché i colori avrebbero espresso la gioia e la serenità della natura, ma né gioia né serenità possono essere ricollegate a questo “dramma urbano” espresso quindi con un grigiore costante. L’unica punta di colore è data dalle scritte in verde che compaiono di tanto in tanto: anche questa sembra essere una strategia non casuale perché il verde rimanda simbolicamente alla speranza di riuscire a ricostruire e andare avanti. L’apparire delle scritte in maniera non sistematica sembra essere una scelta stilistica coerente con il tema di questo documentario fatto di frammenti che richiamano in qualche modo i crolli dovuti al terremoto.
“Habitat” si conclude con una riflessione sull’indissolubile legame con la città, con l’ultima immagine a colori del prato in cui era stata installata la tendopoli, oggi frequentato da tante persone che vogliono ricominciare a vivere.
Seppure un po’ lento in alcuni punti, “Habitat” colpisce per il suo intento di dare voce a chi ha perduto tutto, passando così dalla storia collettiva di una città ferita dal terremoto alle singole storie, le “note personali”, ognuna con la sua peculiarità.
Regia: Emiliano Dante
Produzione: Dansacro, C.U.M.
Durata: 56’
Anno: 2016
Di Silvia Barone
Teoria e Metodi della Progettazione Culturale di Vittorio Iervese
Corso di Lingue, Culture, Comunicazione
Università di Modena e Reggio Emilia